A chi dice che i rifugi del CAS sono “abbandonati, diruti e non fruibili”, rispondiamo che non è vero e che non si può fare di tutta l’erba un fascio.

Molti dei nostri rifugi vengono aperti per attività escursionistiche e culturali, per quanto è possibile per un’organizzazione che si basa sul contributo volontario dei soci e che ormai da tempo aspetta il rinnovo delle concessioni per potere progettare.

Finora, i rifugi del CAS sono stati costruiti, manutenuti e gestiti dal Club a proprie spese. La gestione di queste strutture non è stata finanziata da un Ente pubblico, magari con un custode che le aprisse tutti i giorni. Alle Amministrazioni locali che oggi parlano di rifugi “abbandonati”, noi chiediamo: dove eravate fino a ieri, quando i rifugi venivano tenuti aperti solo grazie al volontariato? Ai cittadini che parlano di rifugi “sempre chiusi”, chiediamo: quando camminate in montagna e passate da una casa, dite “è sempre chiusa”? Non è una struttura pubblica, quindi non è sempre aperta. Quanti sono i rifugi della forestale—tutti finanziati con soldi pubblici—chiusi e a volte anche abbandonati? Il territorio delle Madonie ha chiari esempi di strutture alberghiere e/o di accoglienza realizzate dalla mano pubblica oggi abbandonate e pressoché irrecuperabili (vedi l’Hotel Milocca).

Regolarmente, a chi dice che i rifugi del CAS sono sempre chiusi, chiediamo quando è stata l’ultima volta che sono passati dal rifugio. Quasi sempre ci sentiamo rispondere: “l’anno scorso”. Forse la cosa di cui dovremmo parlare è il fatto che la gente va in montagna una volta ogni morte di papa. Tutte le volte che siamo ai rifugi e non passa nessuno, il rifugio è aperto, ma di gente in giro non ce n’è neanche l’ombra.

I nostri rifugi sono fruibili, ma con modalità che forse non si prestano alla domanda di un pubblico del tutto “urbanizzato”. Le poche richieste che riceviamo per utilizzare le nostre strutture (soprattutto quelle piccole) si limitano a un uso tipo Airbnb: io ti do i soldi e tu mi dai le chiavi. È chiaro che questo sistema non può funzionare per delle strutture come i rifugi, sia in termini di garanzie legali che di uso sociale. A nessuno, guarda caso, interessa associarsi al CAS. Alle volte, anche questo interesse è legato unicamente all’uso individuale dei rifugi: io pago la quota associativa e tu mi dai le chiavi. Il problema rimane. A nessuno interessa far vita associativa, andare a pulire, rassettare, riparare, trasportare, o contribuire in qualche altro modo a qualcosa che vada oltre il “voglio dormire nel rifugio per i fatti miei”.

Ci teniamo poi a sottolineare che queste richieste sono poche, per ridimensionare da subito i sogni di facili guadagni che sicuramente ispirano chi mira a gestire le nostre strutture. Sostanzialmente, le richieste arrivano quando c’è neve (e bel tempo) o quando c’è bel tempo. Basta che non ci sia neve o che le previsioni siano brutte (cielo nuvoloso, possibile pioggia, vento, afa) e magicamente nessuno è più interessato a dormire nei rifugi (e a venire in montagna). Chi frequenta veramente le terre alte siciliane questo lo sa bene; chi dice il contrario non sa di cosa parla o è in mala fede.

Alcune strutture del CAS di “grandi” dimensioni, come l’Ostello della Gioventù (“il Merlino”), non sono più fruibili come un tempo perché dopo la scadenza della concessione, la regione non si è più interessata alla questione, impedendo così al CAS di progettare. Questo problema riguarda tutti i nostri rifugi costruiti su terreni demaniali. Dopo essere stati messi in condizione di non potere operare, adesso siamo accusati di non avere operato. Ma anche questo è vero solo in parte, poiché nei limiti del possibile, abbiamo invece continuato a provvedere alla manutenzione di queste strutture poiché legati al significato profondo che hanno per noi.

L’unico rifugio che appare abbandonato al suo destino è quello dello Scalonazzo su Pizzo Carbonara, che è stato scoperchiato da una fortissima tempesta. Dopo avere provveduto, a nostre spese, a rimuovere i resti del tetto dal pianoro, abbiamo proposto alla Regione un progetto di ristrutturazione redatto dal nostro socio architetto Barraja, le cui realizzazioni in montagna sono oggetto di citazione nelle maggiori riviste specializzate.

La fruizione della montagna siciliana nel tempo libero è una questione molto complessa; non può essere ridotta a slogan del tipo “il rilancio di Piano Battaglia”. Il rilancio di cosa precisamente? Come e con quali mezzi? E soprattutto, a favore di chi? Senza rispondere a queste domande, appare inopportuno parlare genericamente di “uso collettivo e pubblico” e di “corretta gestione”. In attesa di risposte, come Club Alpino Siciliano continueremo a lavorare per creare una cultura della montanità adatta al ventunesimo secolo, priva di campanilismi e nostalgie del passato.